Riso: nel ferrarese l’annata è nella media, ma il mercato è incerto

Riso: nel ferrarese l’annata è nella media, ma il mercato è incerto

LE VALUTAZIONI DI PIVA (GIE CEREALI) SU ANDAMENTO PRODUTTIVO E PREVISIONI DI MERCATO QUANDO LA RACCOLTA È ARRIVATA A CIRCA IL 70%

FERRARA – Risaie in condizioni perfette e previsioni produttive eccezionali. Questo era il quadro, assolutamente realistico, tracciato dai produttori di riso ferraresi fino alla fine di luglio.

Poi, come spiega Massimo Piva, risicoltore e membro del Gie cereali, in un mese la situazione è completamente cambiata. “Non voglio dire che sia una cattiva annata – spiega Piva -, la produzione, quando siamo a circa il 70% della raccolta, rimane nella media: parliamo di circa 60-65 q/ha per tutte le varietà, fatta eccezione per il Cameo che si attesta sui 70-75. Ma, certo, la delusione per quella che poteva essere una campagna con produzioni eccezionali rimane. I problemi sono arrivati con il caldo decisamente torrido di fine luglio e di agosto, perché il riso in piena spigatura, una fase delicatissima del ciclo vegetativo, soffre le alte temperature e tende a “fermarsi”.

Così ci sono stati aborti fiorali e ora patiamo un ritardo nella raccolta, che avviene in un momento climatico meno sfavorevole. Ad esempio, una varietà come il Telemaco seminato ad aprile, doveva essere raccolto a metà settembre, mentre stiamo mietendo ora, a metà ottobre. Questo, naturalmente, pregiudica la quantità, fa aumentare l’umidità del prodotto e i costi di essiccazione dei risoni. Adesso attendiamo le performance delle varietà più tardive, come Carnaroli e Volano, sperando in una “rimonta”.

MAssimo-PivaL’unica cosa eccezionale rimane la qualità – continua Piva – e speriamo che il mercato premi le nostre varietà da interno: il trend appare positivo, anche perché, a causa dell’emergenza sanitaria, non ci sono grosse giacenze. Naturalmente, non si può citare il mercato del riso senza ribadire che permane il grosso problema dell’esenzione dai dazi di alcuni paesi produttori come il Vietnam.

Non mi stancherò mai di dire che ogni anno battiamo un nuovo record di importazioni a “costo zero” di riso di varietà Indica, che invade i nostri mercati abbassando i prezzi a 30 €/q, più basso dei costi di produzione.

Ora, però, questi paesi non si limitano a produrre ed esportare i cosiddetti risi Lunghi, ma anche i Tondi, i più coltivati nel nostro Paese. Ovviamente, questo sistema rischia di pregiudicare il futuro delle aziende risicole in tutte le zone vocate, da Ferrara al Piemonte. Perché è chiaro che il prodotto straniero ha un prezzo inferiore, dal momento che in quelle zone il costo del lavoro non è paragonabile al nostro. E poi, ci sono le continue difficoltà produttive legate al clima e alle fitopatologie che si fatica a combattere con le poche molecole rimaste.

Un sistema che non premia una produzione di qualità come la nostra, che, peraltro, si è rivelata indispensabile durante l’emergenza da Covid-19. Con le difficoltà a importare sono state strategiche le nostre scorte per sopperire alla richiesta, in costante crescita.

E se i risicoltori, ma anche i frutticoltori e i cerealicoltori, smettessero di produrre perché lavorano in perdita e un’azienda, ovviamente, non può sopravvivere senza guadagnare? Cosa arriverebbe sulle nostre tavole in caso di blocco delle importazioni?

Due domande che tutti, dalla politica ai consumatori, dovrebbero porsi. Perché non ci si può accorgere dell’importanza del nostro settore solo quando c’è un’emergenza. Gli agricoltori hanno continuato a produrre anche durante la pandemia per garantire che i loro prodotti rifornissero i diversi punti vendita e lo faranno di nuovo se la situazione dovesse ritornare critica.

Ma se i mercati non inizieranno a ridare valore ai prodotti italiani e se non ci saranno più molecole per difendersi dalle patologie delle piante, allora non ci saranno più agricoltori “garanti del cibo”.


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