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Licenziamenti: la Consulta dichiara illegittime le ‘tutele crescenti’ per le microimprese

mer 27 ago 2025
Licenziamenti: la Consulta dichiara illegittime le ‘tutele crescenti’ per le microimprese

NOVITA’: ad un mese dalla débacle delle consultazioni referendarie in tema di licenziamenti, la Corte Costituzionale ritorna sulla questione di legittimità’ del sistema di “tutele crescenti” con una sentenza di forte impatto per le aziende che occupano sino a 15 dipendenti.  

Lo scorso 21 luglio la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 118, è intervenuta nuovamente in materia di licenziamenti illegittimi, con particolare riguardo a quanto disciplinato dal D. Lgs. 23/2015 meglio noto come sistema a “tutele crescenti” introdotto dal Jobs Act nel marzo 2015. Si tratta di una sentenza annunciata. Infatti, l’Alta Corte, riprendendo l’ammonimento contenuto in una precedente sentenza datata luglio 2022, con la quale esplicitamente esortava il Legislatore ad intervenire con una modifica normativa sul D. Lgs. 23/2015 già da tempo considerato “incostituzionale”, con la sentenza n.118, ha definitivamente dichiarato l’illegittimità del sistema di “tutele crescenti” contenuto nel Jobs Act laddove, per le aziende che occupano fino a 15 dipendenti, ha stabilito l’illegittimità costituzionale della tutela risarcitoria quantificata sino ad un massimo di sei mensilità.

Vi è di più, la Corte è giunta alla citata sentenza n. 118 di luglio 2025, sia per porre rimedio alla questione di illegittimità costituzionale delle tutele crescenti, sia per aprire un’ulteriore riflessione sul limite dimensionale delle imprese ed i criteri di misurazione dello stesso.

Come facilmente intuibile, entrambi gli ambiti pongono serie riflessioni in quanto destinati a produrre impatti importanti sia sull’operatività quotidiana, sia sulle scelte strategiche delle micro e piccole imprese destinatarie di tale provvedimento.

Per maggiori approfondimenti sugli scenari che si produrranno in seguito a questa decisione dei giudici Costituzionali potete contattarci al seguente link: consulenzarelazioniindustriali@bo.cna.it.

Complessivamente si tratta di una sentenza molto severa ed importante per tutte le imprese che occupano fino a 15 dipendenti e che costituiscono, per espresso riconoscimento della Corte medesima, “la quasi totalità delle imprese nazionali”.

Procedendo con ordine ed estrema sintesi a definire i confini della questione, giova ricordare che, sino al 20 luglio 2025, per le aziende occupanti sino a 15 dipendenti, esisteva un doppio regime sanzionatorio distinto in base alla data di assunzione dei dipendenti, ossia: i lavoratori assunti ante 7 marzo 2015 godono della tutela prevista della legge 604/1966 s.m.i. ed i dipendenti assunti dal 7 marzo 2015 in poi per i quali trovava applicazione il D. Lgs. 23/2015 con il suo sistema di tutele crescenti. Seppur riconducili a due norme diverse, in entrambe le fattispecie, la tutela per licenziamento illegittimo manteneva una natura squisitamente “obbligatoria” quantificata nella misura massima di sei mensilità. Hanno sempre fatto eccezione, e continueranno a farla, i licenziamenti illeciti (per rappresaglia, discriminazione, in violazione di norme imperative o situazioni di tutela, etc.) per i quali resta la tutela della reintegra nel posto di lavoro.   

Tali due regimi, seppur con le loro specificità ma senza sostanziali differenze, riuscivano a contemperare le posizioni contrapposte assicurando un sistema di protezione per il lavoratore ingiustamente licenziato, da un lato, e la “prevedibilità e certezza” dei costi del licenziamento per l’imprenditore, dall’altro lato.  

Cosa accade oggi in seguito alla pronuncia della Corte Costituzionale? Per quanto riguarda le imprese che occupano sino a 15 dipendenti, con specifico riguardo a tutti quelli assunti dopo il 7 marzo 2015, pur mantenendosi un sistema di tutela obbligatoria, il limite “economico” di mensilità si modifica profondamente. Infatti, per le fattispecie rientranti negli ambiti appena descritti, ossia in ciò che resta delle “tutele crescenti”, il giudice può spingersi a determinare una indennità risarcitoria compresa tra le 2,5 e le 18 mensilità determinata in base a fattori quali: gravità del vizio, anzianità del lavoratore, condizioni economiche e comportamento delle parti, etc.. Ne deriva che, sotto il profilo pratico, l’attuale regime di tutele vigente si articola secondo lo schema seguente:

  • Come appare chiaro, nella sostanza, l’attuale situazione generata dalla sentenza crea una profonda disparità di trattamento tra i dipendenti in base alla data di assunzione e, nel realizzare una diversificazione, per giunta, penalizza i dipendenti con maggiore anzianità di servizio all’interno dell’azienda rispetto agli “ultimi assunti”.
  • Non solo, essa è indubbia fonte di maggior incertezza economica e di sorte rispetto al peso degli elementi di decisione presi a riferimento dal giudice che, ora, possono variare all’interno di una forbice di mensilità molto più ampia e di orientamenti giurisprudenziali dei vari Fori italiani spesso territorialmente difformi.
  • Ancora, considerato che tale provvedimento è rivolto alle imprese micro e piccole, ben si comprende come sia la più ampia parte del nostro tessuto produttivo nazionale a subirne gli impatti e ciò nonostante si tratti di soggetti con minori risorse e capacità.

Ma la nuova sentenza non si limita ad intervenire sul sistema risarcitorio. Nel pronunciarsi, i giudici dell’Alta Corte hanno aperto un’ulteriore valutazione che si riferisce alla misurazione del limite dimensionale delle aziende. La Consulta precisa come il numero dei lavoratori (che nel nostro ordinamento lavoristico tradizionalmente riveste un ruolo fondamentale per la determinazione delle discipline applicabili) non possa essere l’unico criterio da prendere a riferimento per distinguere le imprese più solide da quelle meno solide. In sintesi, il numero limitato dei dipendenti (fino a 15) non è di per sé sufficiente a rivelare sempre e comunque la minore forza economica del datore di lavoro. Anche in questo caso la Corte esorta il Legislatore ad intervenire in tale materia, precisando come il criterio del numero dei dipendenti non possa costituire l’esclusivo indice della forza economica del datore di lavoro e quindi della sostenibilità dei costi connessi ai licenziamenti illegittimi, dovendosi invece considerare anche altri fattori altrettanto significativi, quali il fatturato o il totale di bilancio dell’azienda.

In attesa di conoscere se e come il Legislatore, assieme alle Parti Sociali, affronteranno questo ultimo aspetto, non resta che prendere atto dell’attuale irrigidimento del quadro normativo all’interno del quale le piccole aziende sono costrette a muoversi e, nella complessità sempre più severa della materia dei licenziamenti, è imprescindibile un approccio sempre più competente e consapevole dei mutati riferimenti normativi, degli scenari incerti, dei rischi sempre più imponderabili e degli strumenti a disposizione delle imprese. A tal riguardo, CNA Bologna è al fianco delle imprese attraverso l’area Relazioni Industriali che, con il suo staff, è a disposizione degli associati per una consulenza specialistica e per qualsiasi tipo di supporto in questo ambito. Per info: consulenzarelazioniindustriali@bo.cna.it

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